Oltre ad essere un valente costruttore e pescatore a mosca, Agostino Roncallo – autore di numerosi testi di costruzione e non solo – è uno spirito arguto ed ironico che può permettersi, grazie alla sua formazione culturale, di destreggiarsi fra storia e filosofia anche nel campo della pesca a mosca. Lo ringraziamo per averci autorizzato a rendere noto questo breve racconto sarcastico e divertente che ricalca un po’ il suo “Storia quasi vera della pesca a mosca dal Mito all’Era Moderna” in cui ci e si prende in giro con garbo e molta ironia.
—–
La pesca a mosca nell’Antico Egitto
(di Agostino Roncallo – pubblicato dietro sua autorizzazione)
Il primo pescatore a mosca di cui si ha notizia sembra fosse un certo Skiappha che si può vedere effigiato in un bassorilievo egiziano del 1400 a.C. esposto al British Museum.
Lo vediamo pescare con una canna dalla cui vetta si dipartono varie lenze alla cui estremità sono legate delle mosche somiglianti a farfalle.
Ora, dovete sapere che questo Skiappha era un invidioso, un casinista ed un presuntuoso.
Avendo visto suo cugino Akiappha pescare con una lenza sola e catturare i pesci, pensò che aumentando il numero delle lenze e quindi delle mosche avrebbe moltiplicato le catture.
Costruì la canna che si vede nel bassorilievo ed andò a brevettarla prima ancora di averla provata.
Re Salomone non sbagliò dicendo la celebre frase “Non c’è niente di nuovo sotto il sole”, dal momento che anche al giorno d’oggi ci sono pescatori a mosca che si comportano come Skiappha proponendo mosche che definiscono micidiali prima ancora di averle provate.
Tornando a Skiappha, quando tentò di lanciare con la sua canna brevettata, le lenze di intricarono fra loro in una sorta di nodo gordiano.
Avendo fatto una figuraccia con i sui contemporanei, a Skiappha non rimase che cercare di convincere i posteri dell’efficacia della sua canna facendosi effigiare, naturalmente pagando, nel bassorilievo citato dove appare mentre esegue un lancio perfetto.
Certo che essere pescatori a mosca al tempo degli antichi egizi non era facile. Se cercavi di strappare un poco di pelo ad un cammello per fare del dubbing, rischiavi di beccarti un calcio nello stomaco, ma quello era niente in confronto a ciò che ti poteva capitare se i sacerdoti ti beccavano a strappare le piume del sacro Ibis.
Non parliamo poi di cosa rischiavi quando ti recavi a pescare sulla riva del Nilo: mentre aspettavi che un pesce bollasse sulla tua mosca, era facile che un coccodrillo bollasse su te.
Comunque la passione della pesca a mosca ti ripagava di questi piccoli contrattempi, specialmente se catturavi un pesce degno di essere immortalato, ma in quale modo lo si poteva immortalare?
La fotografia non esisteva ancora e un disegno non forniva la prova di essere conforme alle reali dimensioni del pesce.
Un certo Mummif, quando catturava un pesce degno di nota, iniziava a girare tutta la città per mostrarlo ad amici e conoscenti. Quando iniziava il giro, il pesce era fresco ma, a causa del clima egiziano, Mummif non riusciva a mostrare le sue catture a tutti gli amici.
Cominciò a cercare il modo per conservare più a lungo il pesce e si accorse che eviscerandolo allungava il tempo della conservazione. Dopo una lunga sperimentazione con varie sostanze, scoprì il sistema di conservare il pesce per un tempo illimitato: chiamò il suo processo di conservazione “Mummificazione”.
Da allora in poi non fu più costretto ad andare dagli amici per mostrare le catture; erano loro che si recavano a casa sua per vedere i trofei imbalsamati.
Dopo un primo momento di soddisfazione però si chiese se era giusto che un pesce potesse conservarsi nel tempo ed il pescatore che lo aveva catturato dovesse finire in polvere.
Prese una decisione: rese noto il processo di mummificazione ed espresse la volontà di essere mummificato dopo la morte e di essere sepolto con la sua attrezzatura da pesca ed i pesci-trofeo che aveva catturato nel corso della sua vita di pescatore a mosca.
Alcuni pescatori seguirono il suo esempio e la cosa piacque anche alle persone che non pescavano a mosca. Così, chi giocava a bocce si fece mummificare e seppellire con le bocce in mano (sai che piacere stare con delle palle in mano per l’eternità), chi giocava a tennis con le racchette e le coppe vinte nei tornei e così via.
Al Faraone, che era imparentato con gli dei, piacque l’idea di farsi mummificare dopo la morte affinché il suo corpo si conservasse per l’eternità e, poiché era ricco sfondato, pescava a mosca e praticava ogni genere di sport, si fece costruire un’enorme tomba, chiamata Piramide per via della forma, che potesse contenere tutte le sue attrezzature.
A proposito di Faraoni, costoro, nei disegni e nelle sculture, sono raffigurati mentre stringono nelle mani due oggetti stilizzati che rappresentano il segno del potere.
Secondo gli archeologi, questi oggetti corrispondono ad un bastone da pastore ed a un flagello ma a me il flagello ricorda parecchio la canna da mosca brevettata da Skiappha ed il bastone da pastore il raffio che viene utilizzato per uncinare i pesci di grandi dimensioni.
Fu così che da un’esigenza di un semplice pescatore a mosca nacque e si sviluppò uno dei fondamenti dell’antica religione egiziana: l’imbalsamazione.
A quei tempi, i pescatori a mosca, quando si incontravano, andavano a bere qualcosa nella prima taverna che trovavano.
Fatalmente, si finiva per parlare delle rispettive catture ed allora cominciavano i guai.
Osservando i disegni degli antichi egizi, avrete notato che le figure delle persone sono disegnate di profilo…
…continua…