La pesca a mosca in provincia di viterbo

J. W. Hills

E. canadensis, cui fa riferimento J.W. Hills

La lettura di un testo di J. W. Hills mi ha riportato alla mente l’attualissima problematica legata alla invasione di specie alloctone ed alla gestione dei corsi d’acqua, due tematiche che erano già discusse nel secolo scorso e che vengono troppo spesso ignorate dai “tuttologhi” dei nostri giorni.

Oggi le conoscenze scientifiche sono sicuramente più dettagliate ed ai tempi di J. W. Hills le osservazioni erano certamente più empiriche. Incuriosisce, tuttavia, l’attenzione che veniva prestata all’ambiente.

L’argomento non è banale e meriterebbe una maggior attenzione ed approfondimento da parte degli specialisti di settore.

In Inghilterra nel 1800 e 1900 vi fu un enorme interesse per tutto ciò che era esotico, complice soprattutto l’espansione coloniale. Questo portò, tra l’altro, alla creazione di mosche (in particolare quelle da salmone) la cui efficacia si basava sul “quel” componente particolare: più ricercato e difficile da trovare, più efficace risultava la mosca.

Non faceva dunque scalpore né sollevava quesiti imbarazzanti l’introduzione di nuove specie del mondo animale, prestando affatto attenzione alle eventuali conseguenze sull’ecosistema, atteggiamento non ancora in disuso ai giorni nostri.

Già però negli anni del 1900 qualcuno iniziava a porsi qualche domanda e, fra i vari testi, quello di J. W. Hills mi ha colpito in modo particolare laddove parla del taglio della vegetazione acquatica nei chalk-stream inglesi.

L’argomento venne affrontato anche da Halford nel suo The Dry Fly Man’s Handbook dove riporta che l’eccessiva presenza di erbe acquatiche tagliate e lasciate scendere con la corrente dai tenutari dei terreni bagnati dal Test arrivò a bloccare il porto.

J. W. Hills sottolinea anche quanto fosse negativa la presenza di specie vegetali – sempre nel Test ma la cosa vale per qualsiasi altro corso d’acqua – provenienti da oltremare incautamente o meno immesse nei fiumi. E fa riferimento ad una pianta proveniente dall’America.

 

Da “River Keeper” (1947)

“Le piante acquatiche vengono tagliate per tre motivi: permettere all’acqua di scorrere liberamente verso i mulini, avere spazio per la pesca ed incoraggiare la presenza degli insetti acquatici; quest’ultimo è il più importante di tutti.

Una parte deve essere tagliata per il mugnaio che però è bene che lasci fare il lavoro ai gestori del fiume per evitare che il taglio venga effettuato troppo vicino e verso monte, cosa negativa perché si rischia di tagliare anche i pesci.

Un altro po’ di taglio deve essere fatto per i pescatori, evitando però di cadere nell’errore comune di eccedere o di tagliare troppo poco. Va sempre tenuta in maggior considerazione la presenza degli insetti piuttosto che i desideri dei pescatori.

Nel 1887 la vegetazione acquatica non veniva tagliata con la stessa frequenza e accuratezza di oggi. Questo ebbe due conseguenze: favorì la presenza delle Grannom, ma incise negativamente su quella delle effimere di minori dimensioni, le olive, le iron blue, le pale watery e le blue-winged olive e questo fu una delle più importanti scoperte fatte da Lunn – omissis -.

Quarantacinque anni fa c’erano meno mosche rispetto ad oggi, solamente un quarto delle presenze attuali. E la ragione va ricercata nel fatto che la vegetazione acquatica oggi viene tagliata in maniera più massiccia rispetto a quello che si era usi fare in passato. Le mosche di piccole dimensioni dipendono in gran parte dalla disponibilità di quelle specie di piante che ne garantiscono la presenza. Se non si effettuano tagli, il corso d’acqua si popola di canne e le piante “buone” vengono sopraffatte. Le due piante acquatiche migliori sono il ranuncolo d’acqua, Ranunculus fluitans e R. pseudo-fluitans ed il sedano d’acqua, Apium nodiflorum. Entrambe costituiscono un eccellente habitat per le ninfe. Poi abbiamo altre due piante: Potamogeton fluitans e P. densus, difficili da distinguere ma molto utili, soprattutto la prima. Anche P. natans è una pianta prolifica. P. crispus è relativamente rara e non vale la pena prenderla in considerazione. Seguono la sedanina, Sium erectum, ed il ceratofillo, Ceratophyllum.

All’altro estremo abbiamo una pianta americana, Elodea canadensis. Si tratta di una pianta decisamente negativa poiché non offre asilo né ai pesci né alle mosche (effimere, Ndt) ed inoltre tende ad accumulare fango e distrugge le altre piante. E’ inutile e fastidiosa ed ha una storia straordinaria. Portata da oltre Atlantico come specie botanica, popolare negli acquari dei nostri nonni, è arrivata nei fiumi e nei canali dove si è moltiplicata con una sorprendente rapidità al punto da soffocare alcuni ambienti in cui si era inserita. Sul Test, è una vera e propria maledizione, causa di problemi ed interventi economici senza fine. Anche per la pesca è nociva, poiché la sua presenza esagerata allontana i pesci e le mosche non riescono a schiudere né a vivere. Le ninfe infatti non se ne cibano sia nei fiumi sia negli acquari preferendo tutte le altre piante acquatiche che così vengono quasi decimate. Deve essere eliminata. Lunn ha scoperto che è inutile tentare di eradicarla semplicemente tagliandola perché non se ne scende verso valle come fanno le altre piante ma cade sul fondo dove ogni singolo pezzetto attecchisce dando vita ad ulteriore vegetazione – omissis -.”

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Aggiornamenti

Il libro di J. W. Hills da cui è prelevato l’estratto di cui sopra è del 1947, epoca in cui le conoscenze scientifiche e di settore non erano certo paragonabili a quelle attuali. Nonostante il testo rappresenti un tassello importante nella storia alieutica, alcuni contenuti meritano di essere aggiornati. Per questo motivo vi proponiamo una integrazione a firma di Amedeo, nostro socio con una pluriennale esperienza nel campo dell’acquariofilia, esperienza che lo mette in grado di fornire motivazioni specifiche che vanno un po’ nella direzione opposta rispetto al contenuto del libro. Lo scopo non è, ovviamente. quello di screditare un autore affermato ma di fornire nozioni attuali ed aggiornate che sicuramente aiuteranno il lettore ad attualizzarne il pensiero.

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Nel testo di J. W. Hills si parla di argomenti complessi riportati alla sola visione del pescatore. Per quanto sia d’accordo con il fatto che Elodea sia una minaccia per gli ecosistemi, i motivi che vengono addotti sono quantomeno imprecisi. Prima di tutto, Elodea canadensis (come E. densa anch’essa nativa del Nord America) ha carattere infestante, arrivando a soffocare piccoli stagni grazie alla sua crescita rapida, uccidendo di fatto altre piante acquatiche.

La presunta capacità di accumulare fango deriva poi da una errata interpretazione. Una pianta come questa, in grado di crescere tanto ha la capacità di rallentare la corrente e quindi il fango che scorre nel fiume nei periodi di piena può depositarsi sulle sue foglie. Inoltre soffocando le altre piante sotto di lei (cresce molto in altezza togliendo luce alle piante più basse) queste marciscono creando altri depositi fangosi. Per quanto riguarda l’ospitare i pesci sono in totale disaccordo. Gli avannotti cercano piante come queste, in cui potersi riparare dai predatori e questo le rende delle nursery naturali.

Tentare di ridurne la presenza con interventi di taglio serve a poco perché se ne stimola una più rapida ricrescita. Ad oggi sembra che sia molto meno comune della sua altra parente americana,  Elodea nuttallii, anch’essa importata nel XX secolo e che ne ha soppiantato la diffusione in nord Europa.

A. Tomassi

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