La pesca a mosca in provincia di viterbo

Tecnica

Ciao a tutti e ben ritrovati su queste pagine!

E’ statisticamente confermato che la stragrande maggioranza di coloro i quali si avvicinano alla pesca a mosca lo fanno perché attratti dall’aspetto “etereo”, dalla leggiadria dei movimenti e dalla curiosità per una tecnica che appare loro “strana”, diversa. Solo una minoranza – per fortuna! – considera la pesca a mosca una tecnica in più per catturare il pesce.

Molti, al contrario, la rifuggono perché la ritengono troppo difficile e la guardano più con sospetto che con interesse ignorando che bastano quattro o cinque incontri per riuscire a posare la mosca ad una distanza di pesca con la sufficiente precisione. In altre parole, affrontare il fiume o il lago con le dovute cognizioni immediatamente dopo il termine del corso di lancio.

Sia però ben chiaro: siamo ancora agli inizi e c’è ancora un mondo da scoprire tanto vasto quanto affascinante, un mondo che non stanca mai e che rende quello che si dice un pescatore completo sotto tutti gli aspetti. Perché non è solo di lancio, come vedremo nelle prossime puntate,  che è composta la pesca a mosca.

Torniamo alla tecnica, per il momento.

Al termine del corso avremo i pesci a portata di canna e tutti potenzialmente catturabili…

Dice… “E quelli più distanti?” Tranquilli…  ci vorrà un po’ di pazienza ma siamo già sulla buona strada. D’altra parte, avete mai visto qualcuno che sia nato… “imparato”?

La cosa più importante da tenere sotto controllo è la distanza: smettiamo, una volta per tutte, di aspirare subito (ma anche dopo…) a lanci eccessivamente lunghi. Un lancio di 15 metri è spesso più che sufficiente per raggiungere la stragrande maggioranza dei pesci che ci troveremo di fronte. E 15 metri si raggiungono con estrema facilità in poche ore di esercizio…

Spesso, l’aspirante moscaiolo tende a voler strafare, a voler lanciare eccessivamente lontano, a voler raggiungere distanze del tutto inutili in fase di pesca. Con il risultato di affaticarsi, di sbracciarsi e vanificare ogni tentativo di cattura.

Quelle distanze “stratosferiche” si possono raggiungere, certo, ma ci vuole pazienza ed un ottimo controllo dei movimenti. Quindi, tempo.

A proposito di “tempo”: ecco la parolina magica che ci farà comprendere quanto importante sia il non aver fretta. Quasi tutti i neofiti tendono a non rispettare il “tempo” della canna, ossia il periodo necessario affinché la lenza si sviluppi alle nostre spalle – facendo “caricare” (piegare) la canna – per poi ritornare in avanti, agendo da molla e quindi far distendere la coda di topo di fronte a noi.

Il tempo (gli inglesi lo identificano con il “timing”) non è uguale per tutte le canne da pesca a mosca: una canna “molle” (in voga durante la seconda metà del secolo scorso) sarà ovviamente molto più lungo rispetto ad una con azione rapida (preferita ai giorni nostri).

Quasi tutti i neofiti tendono, tuttavia, ad accelerare questo movimento di va-e-vieni, come se temessero di far cadere la lenza alle proprie spalle.  

Un altro errore molto comune fra i principianti è l’eccesso di potenza impartita nel movimento avanti-indietro. Imprimere una trazione od una spinta eccessiva non serve ad arrivare più lontano od a stendere la coda di topo: al contrario, si rischia di farla collassare ai nostri piedi.

Quasi tutti rimangono sbalorditi quando, durante il corso, apprendono che con un movimento molto dolce è possibile raggiungere, e spesso superare, le distanze che con i loro frenetici tentativi faticano ad ottenere.

Il terzo punto (ma ne analizzeremo tanti altri nei prossimi articoli) è la linearità dello spostamento di TUTTO il braccio e non solo del polso o dell’avambraccio. Il fulcro non sta nel polso o nel gomito ma nella spalla e la canna, mantenuta il più verticale possibile, deve muoversi lungo una linea retta come se scorresse su un binario e non seguire un semicerchio.

L’esempio più classico che si porta ad un allievo è quello – che si far risalire agli americani Swisher & Richards – del movimento necessario per piantare un chiodo su una parete: il martello compie, insieme al polso (che NON si piega) un percorso rettilineo e NON ad arco. Ecco, questo è il movimento che deve compiere il nostro braccio, al quale andremo ad aggiungere lo spostamento orizzontale di tutto il braccio (e NON del solo avambraccio).

Sembra facile, e in effetti lo è. Il difficile è riuscire a comprenderlo perfettamente tramite una descrizione solamente orale o leggendolo: sono stati scritte centinaia di libri su questo argomento ma non c’è nulla, proprio nulla, che possa farlo comprendere meglio di un esempio dal vivo. Che si tratti di un amico compiacente piuttosto che di un istruttore qualificato, in entrambi i casi è da preferibile ad un libro. La differenza fra un amico già in grado di lanciare ed un istruttore qualificato sta nel tempo di apprendimento e nella qualità dell’insegnamento.

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Pubblicato su “La Fune” di Viterbo – 12/01/17

 

OV

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