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Nell’era del modernismo, del sintetico, del dato di fatto, dello scontato, può essere interessante indagare un poco sul passato del temolo.
Che cosa pensavano in nostri predecessori di questo bel pesce? Tante sono le domande che vengono in mente. Eccone alcune:
- Quali erano le loro idee in merito alla sua cattura con la mosca artificiale?
- Quali le loro imitazioni preferite?
- I materiali usati?
- Quale la loro filosofia di pesca?
Conosciuto in passato con diversi nomi e soprannomi (ombra, dama d’argento…) il temolo ha una storia tutta particolare che differisce sistematicamente da quella della trota.
La vita del temolo – e la sua sopravvivenza, potremmo dire oggi – è costellata nella storia anche da fatti negativi mentre per la trota la cosa non si è per nulla verificata. Non è passato infatti molto tempo da quando il timallide veniva fatto oggetto di disprezzo da parte dei puristi anglosassoni che addirittura ne tentavano la cattura con lo scopo di ripulire le acque in cui viveva.
Fortunatamente fu una tendenza isolata che non ha attecchito altrimenti di temoli ne sarebbero sopravvissuti assai pochi. Resta comunque il fatto che in gran Bretagna la pesca a mosca, quella con la P maiuscola, è riservata quasi esclusivamente alla trota (ed al salmone) mentre il temolo è relegato in second’ordine.
Al temolo veniva inoltre addossata la responsabilità di cibarsi indiscriminatamente di uova di trota con conseguenze negative sulla sopravvivenza del salmonide (Davie, in “Trout and Grayling Fishing”, 1957). Studi approfonditi hanno rivelato fortunatamente la non fondatezza di queste supposizioni ed il temolo è tornato a scorrazzare un po’ più liberamente nelle acque inglesi.
È inutile in questa sede analizzare la sua storia e le sue origini nonché la letteratura ad esso riservata nei tempi poiché l’argomento viene trattato egregiamente altrove. Quello che invece può essere interessante è mettere in rilievo sono alcune opinioni in fatto di tecniche di pesca.
Tutti gli autori sono concordi nell’affermare che il temolo non si trova quasi mai a pelo d’acqua. La sua salita sulla mosca artificiale, poi, è qualcosa di unico ed eccitante al punto di far talvolta perdere la ferrata al pescatore.
Tutti, poi, affermano che la mosca da temolo deve essere di taglia piccola (ami nn. 17-18). Raramente si trovano citate mosche da temolo su ami del n. 14 o peggio ancora del n. 12. La misura massima contemplata dai vari autori arriva al n. 16.
Giusto per fare dei confronti, con l’arrivo sul mercato di ami infinitesimali sembrerebbe che le possibilità di insidiare con successo il timallide siano notevolmente aumentate. Oggi troviamo ami che arrivano al nr 28 ed anche 32, misura microscopica che, secondo me, porta via tempo e vista al costruttore.
Forse invogliarlo con queste mosche è possibile, ma altro discorso sarà riuscire poi a portare il pesce a riva, soprattutto per la resistenza meccanica del ferro. Senza considerare che con questi ami è necessario usare fili estremamente sottili, dallo 0,12 in giù, con tutte le problematiche legate alla ferrata ed al recupero.
Le Mosche
Le mosche più adatte per il temolo erano, sempre secondo Davies, quelle che hanno qualche particolare rosso nell’insieme:
- Red Tag,
- Red Spinner,
- Red Ant,
- Red Palmer…
Charles Ritz, al contrario, affermava (Schwiebert, Trout, p. 350) che il temolo preferisce insetti di colorazione nera, sempre di dimensioni molto piccole.
La maggior parte degli autori, tuttavia, concorda nel dire che il temolo è un pesce molto lunatico che spesso attacca artificiali che nulla hanno a che vedere con il naturale presente sull’acqua in quel momento. Addirittura vi è chi dà importanza ai colori ritenuti strani: il viola, i contrasti di colore aberranti (viola-giallo, per esempio), il blu.
Unico punto in comune fra tutte le opinioni è la perfetta presentazione dell’artificiale, che deve passare esattamente perpendicolare al pesce, pena la non salita di quest’ultimo.
Da una analisi fatta da C. Ritz possiamo rilevare quali sono gli inconvenienti che presentano solitamente gli artificiali nei confronti degli insetti naturali (“Pris sur le Vif”).
“…gli insetti naturali vengono presi perché sono reali, sono in quantità maggiore sull’acqua; sono vivi e si muovono; la loro passata sulla superficie dell’acqua è sempre naturale; sono liberi di muoversi nel modo migliore, non essendo trattenuti da filo o altro materiale. Un grossissimo handicap per l’artificiale è che le hackle sempre, in qualsiasi caso, deformano (alla vista de pesce) una silhouette anche fra le migliori eseguite…”
Ecco quindi che (è sempre Ritz che lo afferma) l’abilità di lancio e di presentazione dell’artificiale rappresenta l’85% del successo mentre all’imitazione è riservato solamente il 15%.
Questi sono alcuni modelli ritenuti molto validi dal grande Ritz; tutti sono montati su ami nn 16-18:
- Gloire de Neublans,
- La Loue,
- La Favorite,
- Brown Ant,
- October Dun,
- Purple Iron Dun,
- Blue Dun,
- Scarlet Quill,
- Sulphur Dun,
- Chorothepes Picteti, imago e subimago,
- Tup’s Indispensable,
- Red Tag,
- Sedge con ali bianche e ali marroni,
- Tricolore.
De Boisset, il celebre autore francese, nel suo eccellente “L’Ombre Poisson de Sport”, pur elencando 15 mosche secche e 15 sommerse, che differiscono un poco da quelle di Ritz, riconosce la Gloire de Neublans come uno dei modelli più catturanti e la ritiene quasi indispensabile in pesca. Un altro modello ritenuto indispensabile è la Levisham Spinner con 4 ali minuscole, vero capolavoro di… ingegneria alieutica.
È da notare come a quei tempi le mosche venissero curate maggiormente rispetto ai giorni nostri, complice forse anche la scarsità di materiale facile da manipolare che ne rendeva difficoltosa la costruzione.
La ferrata
Pescando il temolo, i pareri sono discordi. L. de Boisset (“L’Ombre, Poisson de Sport”) afferma che pescando a mosca sommersa il temolo non deve essere ferrato. Lo stesso consiglia P. de Beaulieu nel suo ottimo “La Peche de l’ombre à la mouche”.
Petit, invece, sostiene che la ferrata deve essere ferma ma delicata . E fatta nel momento in cui si intuisce l’attacco da parte del pesce grazie al balenìo che il temolo stesso evidenzia sott’acqua mostrando alla luce il ventre candido. Una ferrata che si potrebbe definire “quasi anticipata”.
Un’altra cosa sottolineata da molti autori per quanto riguarda l’abboccata del temolo è la poca tenuta della sua bocca all’aggancio dell’amo. Forse non era tenuto in considerazione che la difficolta della ferrata e del mantenimento del contatto con il pesce sono causati dalla limitata grandezza dell’amo che offre uno scarso angolo di penetrazione e, quindi, di resistenza alla trazione.
La pesca sott’acqua
Attualmente, come noi tutti sappiamo, si pesca il temolo quasi esclusivamente con la mosca galleggiante. Nel passato, invece, non erano pochi i pescatori che preferivano la mosca sommersa se non addirittura la ninfa
E’ del 1939 il “Grayling Fishing” di Carte Plat dove un capitolo intero è riservato alla pesca con la ninfa. Nel già citato “Trout and Grayling Fishing” di Davies si accenna alla prevalente dieta subacquea del temolo e quindi si propone la cattura in alcuni casi con una ninfa al punto da consigliare al pescatore di averne sempre qualche modello con sé.
Gli studi di questi autori erano approfonditi e confortati da molta pratica, quindi i loro punti di vista sulla pesca del temolo sotto la superficie dell’acqua potrebbero ancor oggi essere validi.
Burnand e Ritz (“A la mouche” – 1938) ci ricordano come nei tempi antichi era comune ai pescatori di temoli montare sul loro lungo finale una serie completa che arrivava a contare anche 10 mosche!!! Allora la tecnica non contemplava l’utilizzo di un mulinello e la lenza arrivava ad una lunghezza massima che non era neppur paragonabile a quella delle code di topo attuali.
Il finale era molto lungo e armato di quanti più artificiali possibile. La tecnica di pesca, a guardar bene, somigliava alla nostra pesca alla valsesiana che racchiude in sé, ancora oggi (per alcuni pescatori) un certo fascino.
Parlando di attrezzatura ricordiamo che tutti gli autori consigliavano l’impiego di una canna in bambù refendu piuttosto morbida che doveva sopperire, in un certo senso, alla fragilità dei finali.
Oggi, probabilmente, con l’avvento dei robustissimi finali in nylon, tal caratteristica è forse un po’ superata ma potrebbe essere comunque uno dei requisiti della canna da temolo.
La pesca in wading, ossia con l’acqua alla cintola, se non oltre, era una regola di tutti i grandi autori del passato. Chissà perché quei benedetti uomini non consideravano che il temolo si potesse pescare anche a piede asciutto. I nostri nonni hanno sempre “attaccato” il temolo da valle verso monte o tutt’al più di traverso a 45 gradi. Naturalmente è un metodo ancora valido e redditizio ai giorni nostri salvo però riuscire a compiere dei lanci perfettamente curvi, che permettevano di presentare l’artificiale per primo al pesce.
Potremmo continuare ancora per molto a confrontare le opinioni antiche con le nostre. Quelle attuali molte volte sono così differenti perché le attrezzature e le condizioni di pesca sono cambiate.
Il sapore dei tempi antichi è un sapore ormai sfumato, il gusto della pesca al temolo oggi è più secco, essenziale, e forse più raffinato ma non sempre più piacevole.
Le opinioni antiche sono talvolta incongruenti e non sempre valide, e sul lato tecnico il nostro modo di pescare è più giusto ma a voler guardar bene a noi manca soprattutto una cosa importante (oltre ai pesci, naturalmente!): la calma. Quella tranquillità che traspare fra le righe di ogni libro del passato. Siamo nell’era della velocità, dell’ansia, del carbonio, del nylon, delle mosche sul 28 e di tante altre infinite diavolerie ma, sfortunatamente, non siamo più nell’epoca della calma.
Ecco, questa è forse una delle cose da invidiare ai “nostri vecchi” pescatori a mosca. Oltre ai pesci, naturalmente.
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da “Consigli di pesca – 1985”
OV
(Uno sguardo al passato)