L’annosa quanto inutile diatriba mosca secca/mosca sommersa non avrà mai fine anche se gli stessi protagonisti dovessero tornare tra noi e spiegarci con le loro parole da che parte sta la verità.
Noi, che di questa vicenda da semplici spettatori ci siamo elevati a giudici raggiungendo toni – da ambo le parti – poco confacenti al ruolo di “gentiluomini” che riteniamo di essere, non possiamo fare altro che basarci su nozioni storiche. Ovviamente questo non ci porterà a redimere la questione.
Tuttavia, poiché ogni granello di sabbia contribuisce all’estensione del deserto, qualsiasi piccola informazione, anche la più insignificante, potrebbe aiutarci a chiarirci almeno le idee.
Oggi, lo sappiamo bene, il solco che divide la pesca a secca dalla pesca a sommersa ha raggiunto una profondità inimmaginabile.
Direi di più: la divisione fra le due tecniche si è sviluppata non tanto in verticale bensì “su più strati” al punto che non si parla più di “pesca sopra” e “pesca sotto” bensì di pesca “a tutti i livelli” con tecniche diverse che con la pesca a mosca hanno poco o nulla a che fare.
Abbiamo infatti la mosca secca in contrapposizione alla mosca sommersa, all’emergente, alla ninfa, alla “Ceca” fino ad arrivare alla pesca a razzolare. Ci manca solo di applicare un campanellino al nostro cimino ed abbiamo chiuso il cerchio con la “pesca a mosca a fondo” con tanto di sedia a sdraio ed ombrellone..
Fonti
A chi si deve questa definizione, se non a colui che osò contrapporsi – piccolo Davide – all’incontrastato Golia della pesca a mosca secca? Da “Minor Tactics of the Chalk Stream and Kindred Studies”, G. E. Skues, 1910:
“Si deve cercare di fare meno falsi lanci possibile e di fare galleggiare il finale lasciando affondare la mosca… In questo modo si ottiene il doppio vantaggio di far percorrere alla mosca sommersa la zona in cui riteniamo che stazioni la trota senza insospettirla e di capire, grazie al movimento del finale, se la mosca viene presa dal pesce senza che il pescatore se ne avveda.
La mosca, una volta lanciata, deve essere lasciata scendere con la corrente esattamente come se fosse una mosca secca, solo che è sotto la superficie; ma può essere recuperata prima (rispetto alla secca – ndt) e con un minor disturbo della superficie perché il recupero avviene sotto e non sopra l’acqua.
Il recupero deve però avvenire molto delicatamente per fare in modo di trattenere quanta più umidità possibile così che possa affondare al lancio successivo… In genere non serve a nulla montare una normale mosca secca per pescare sommerso.”
Tecnica
La definizione è molto precisa e particolareggiata, lascia pochi dubbi su “come” praticarla e non corrisponde affatto a quello che spesso si vede oggi sui nostri corsi d’acqua. Da questo passaggio, molto significativo e chiarificatore, si evince che le due tecniche se non sono sorelle sono quanto meno cugine poiché la differenza è minima.
Si potrebbe anche affermare che pescare a sommersa richieda una maggior attenzione ed abilità nel discernere anche il più piccolo dettaglio per identificare la presa da parte del pesce (in contrapposizione all’evidenza della bollata) ponendo quindi la pesca a sommersa (apriti cielo!!!) ad un gradino superiore rispetto alla secca.
Un esempio che prevale su tutti: quanti sono in grado di capire dal movimento del finale o dalla congiunzione coda-finale cosa sta succedendo sott’acqua? Ben pochi, tant’è vero che per riuscire a catturare di più in determinate condizioni ci siamo inventati lo Strike Indicator (chiamarlo galleggiante non fa altrettanto figo e ci fornisce un ulteriore alibi per distinguerci dai pescatori a passata).
Attenzione: stiamo parlando di pesca a sommersa “prima maniera” e non di tutte le altre derivazioni che hanno – in parte – deturpato la magia della pesca a mosca. Insisto su “in parte” perché vi sono tecniche di pesca “sotto” che richiedono “di saperci fare”.
Prendiamo il “Leisenring Lift”, per esempio, ottimamente descritto da Ch. Brooks nel suo “Nymph Fishing for Bigger Trout” (una tecnica molto efficace ma fuori luogo in questo contesto…).
Suddivisione
Possiamo dunque dividere i pescatori a mosca non più in due classi: “secchisti” e “sommersisti” (passatemi il termine…) ma in tre.
Coloro che amano pescare meno ma prediligono l’emozione della bollata, il piacere della ricerca, del lancio, la difficoltà della scelta dell’artificiale.
Altri che pur di prendere non esitano ad usare imitazioni di budellina di pollo (non ridete: se qualcuno dovesse un giorno inventare una mosca simile andrebbe a ruba) e non si curano dell’osservare la natura, del lancio, della tecnica e della filosofia della pesca.
Ed infine chi, consapevole del fatto che i pesci si cibano non solo in superficie ma soprattutto sotto la superficie dell’acqua, non disdegnano l’utilizzo di mosche sommerse “nel rispetto della tradizione” (sottolineato non una volta sola ma tre!!!)
Sebbene sia contrario all’imbarbarimento delle tecniche che mirano alla quantità piuttosto che alla qualità delle catture, ritengo che ci sia una considerazione da fare. La demonizzazione estrema di tecniche che riteniamo eccessivamente fuori dai nostri canoni andrebbe quantomeno riconsiderata (non rivalutata ma, lo ripeto “riconsiderata”, che non è esattamente la stessa cosa).
Ogni tecnica subisce modifiche, variazioni e miglioramenti (finalizzati alla cattura) sulla base dell’ambiente in cui ci si trova a pescare. Lo strike indicator (vade retro, Satana!), giusto per fare un esempio, è del tutto fuori luogo in acque calme, semi-calme o non eccessivamente movimentate dove l’abboccata può essere percepita dal movimento del finale o della congiunzione finale-coda.
La cosa è possibile anche in acque molto turbolente sebbene sia di una difficoltà estrema (e da questo si capisce la bravura di un pescatore a ninfa. A meno che ci si voglia limitare ad usare una ninfa ultra-pesante fatta meramente ruzzolare sul fondo riducendo il tutto ad una azione di pesca passiva e priva di ogni emozione e cognizione.
Ed infatti lo strike indicator è nato in America per pescare in corsi d’acqua molto, molto vivaci dove questa tecnica ha una sua valenza. Ma, viene spontaneo chiedersi, “è pesca a mosca?” Molto meglio, allora, se vogliamo mantenere viva la fiammella del coinvolgimento emotivo e con la natura, passare ad altre tecniche più redditizie che si possono fare con attrezzature più congeniali.
Ha invece poco senso, anzi è decisamente deprimente, quando lo si vede utilizzato nei laghetti di pesca o in acqua tranquilla poiché denota l’incapacità da parte del pescatore di entrare in simbiosi con la natura e di saper leggere l’acqua, componente essenziale per un pescatore a mosca completo.
“Contestualizzazione” è dunque la parola magica, che si traduce nell’evitare di fare di tutta un’erba un fascio tenendo conto esclusivamente di ciò che piace a noi.
In conclusione
Vorrei, chiudendo, sottolineare ancora una volta che su questa pagina c’è poco spazio per uno schieramento da una parte o dall’altra o per discussioni che vadano oltre il vivere civile.
Ognuno può, com’è giusto, pensarla come vuole e pescare come crede. Come già ribadito in più occasioni, lo scopo di questi “articoli” non è di “coercizzare” le opinioni altrui.
C’è già abbastanza confusione sull’argomento generata quasi sempre dalla scarsa informazione che (più o meno volutamente e velatamente) è stata trasmessa dalle generazioni passate. Se forniamo dati di fatto inconfutabili e chiarificatori, c’è da sperare che per le generazioni future ci sia una volontaria e non coatta inversione di tendenza di una certa rilevanza.
OV