Torniamo a parlare di Skues. Non per rivangare un argomento trito e ritrito (anche se ben pochi sanno di cosa si tratti veramente) ma per approfondire un aspetto su cui – più o meno volutamente e velatamente – nessuno, o quasi, ha voluto indagare.
Il periodo storico
Andare a fondo sulla questione implica addentrarsi nella realtà sociale ed alieutica post-rivoluzione industriale, un periodo (fine 1800/metà 1900) sconvolto da cambiamenti economici e sociali causati da eventi bellici e non solo. Questi cambiamenti hanno portato – non solo in Inghilterra – a sconvolgimenti le cui conseguenze erano destinate a protrarsi per decenni.
La società inglese, radicata su posizioni tradizionaliste, non era pronta (siamo e restiamo nel campo alieutico) ad accettare novità di questa portata ma non potè fare nulla per evitare quello che per molti è stato ritenuto un cataclisma.
La questione
La questione oggi nota a tutti, almeno a grandi linee. Molto rapidamente, prima di andare più nel dettaglio, ricordiamo che Halford concentrò in pochissimi punti le sue idee su “come” pescare a mosca creando quello che molti considerano “il decalogo” (anche se composto da meno di dieci punti) del pescatore a mosca secca.
Meraviglia quindi apprendere che non fu Skues bensì proprio Halford ad affermare per primo che la maggior parte dei pesci prende il cibo sotto la superficie dell’acqua.
A Skues si deve, invece, la risposta lapidaria ad una affermazione di Sir Francis Lindley di Alresford secondo il quale se in un tratto di fiume ci sono solo pochi pesci di taglia, è un peccato catturarli con tecniche meno divertenti rispetto alla mosca secca: “Una tecnica non è migliore dell’altra: entrambe sono valide in diversi contesti e condizioni”.
Riferimenti
La storia della pesca a mosca straborda di citazioni, affermazioni, aneddoti di ogni genere. Alcuni insignificanti, altri densi di significato. Molti hanno un carattere tipicamente alieutico, altri rivelano concetti più consumistici, spacciati però per morali o legati ad una non meglio specificata “spiritualità di intenti”.
Il lavoro di chi è appassionato di storia comporta spesso il riportare alla luce frammenti di verità nascoste raramente conglobate in testi completi. In questo caso si farà un’eccezione: quello che segue è un estratto – corposo e rielaborato per renderne più agevole la lettura – di alcune pagine di un testo a firma di Tony Hayter (G.E.M. Skues, The Man of the Nymph / Hale – 2013 – 368pp).
Vi invitiamo
Come sempre, lo scopo non è soffiare sulle ceneri per rinvigorire la fiammella del dissenso. Anzi, continuate nella lettura e, se lo desiderate, aprite uno scambio di idee. Chi non è interessato può tranquillamente abbandonare e dedicarsi ad altro senza perdere tempo in commenti inutili: non se ne sentirà la mancanza.
Ci auguriamo che quanto segue sia di vostro gradimento e vi suggeriamo di iscrivervi alla newsletter (https://tusciaflyclub.it/blog/). Se avete curiosità sull’argomento potete scriverci (https://tusciaflyclub.it/contatti/): sarà un piacere cercare di esaudire le vostre richieste.
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…omissis… C’era una classe di pescatori che va menzionata prima di affrontare l’argomento. Erano uomini che, semplicemente, preferivano la mosca secca perché dava loro una maggior soddisfazione e piacere o forse perché non erano in grado di mettere in pratica la tecnica di Skues. In particolare, non erano capaci di percepire la delicatezza della presa della ninfa da parte del pesce. Ma per molti altri vi era anche qualcosa in più, non esclusa una sorta di questione morale.
Gli ingredienti
Per molti pescatori, e non solo quelli che si considerano puristi, due sono gli ingredienti principali che determinano il comportamento sul fiume. Uno riguarda la relazione fra il pescatore ed il pesce, l’altro il rapporto fra pescatore e pescatore.
La trota può essere catturata con tecniche considerate troppo efficaci se non addirittura illegali. Anche se è molto cauta e segue il proprio istinto di sopravvivenza,
Ciò che era stato solitamente considerato come una ristrettezza negli anni si era evoluto al punto da diventare un sorta di gara fra l’uomo ed il pesce (non come oggi invece considerato, fra pescatore e pescatore – ndr). E’ interessante analizzare quanto queste due tecniche – la secca e la sommersa/ninfa – potessero essere considerate oneste e sportive.
Per alcuni, la ninfa affondante si poneva al limite estremo.
Nonostante le sue idee “secchiste”, Halford aveva riconosciuto che la Gold Ribbed Hare’s Ear ricordava una ninfa in fase di schiusa. Ed Halford l’ha utilizzata per molti anni, ossia fino a quando, quasi al termine della sua carriera di pescatore, ebbe il sopravvento la teoria del pescatore ultra-purista.
Aveva anche messo a punto un modello di pupa di Grannom. Tuttavia, insisteva che fosse utilizzata come secca. Anni dopo, alcuni pescatori, come Anthony Buxton e Sir Francis Lindley, si sentivano a posto con la loro coscienza quando utilizzavano una ninfa galleggiante.
Efficacia sconosciuta
Walter Barrett, un abilissimo pescatore del Kennet, iniziò ad incensare la tecnica di Skues da quando riuscì a catturare due difficili pesci che si erano fatto beffe degli altri pescatori. Le prese in pochissimo tempo utilizzando una ninfa di Mayfly semi-galleggiante di propria creazione.
Il suo ospite (su alcuni corsi d’acqua era possibile essere ospitato da un pescatore detentore del diritto di pesca – ndr) ritenne che quella mosca fosse eccessivamente efficace. Tuttavia Barrett affermò che quel modello ibrido era una mosca secca. Le sue tozze ali, infatti, poste nella parte anteriore erano ben visibili e solamente la coda (ad imitazione dell’exuvia) affondava sotto la superficie. La sua giustificazione venne accettata.
Questo tipo di ragionamento, molto logico ma drastico, può sembrare un po’ bizzarro ai nostri giorni. Tuttavia per quel periodo – si parla degli anni ’30 – era abbastanza comune (a dimostrazione che i fatti storici vanno sempre valutati dopo la corretta contestualizzazione – ndr) poiché in quegli anni si era alla ricerca di linee guida che potessero essere considerate accettabili.
Alcuni ritenevano che per poter essere accettabile (sebbene in maniera molto “tirata”) la ninfa artificiale doveva essere utilizzata appena sotto la superficie. La ninfa che scendeva ben al sotto, molto appesantita soprattutto se contenente del piombo nel dressing era, secondo molti pescatori, nient’altro che un’esca per bracconieri.
Etica e morale
Molta importanza si dava al lato “morale” del comportamento. Un pescatore estremamente attivo lungo il fiume, che camminava lungo la riva lanciando e rilanciando esche appesantite a qualsiasi pesce visibile od anche in qualsiasi luogo in cui riteneva potesse contenere dei pesci (si noti qui il riferimento al “decalogo del purista” messo a punto da Halford – ndr) non poteva vantare la benché minima reputazione.
Queste idee in merito alla ninfa non erano attribuibili ad Halford, Ciò nonostante egli aveva una grande influenza nel decidere come comportarsi sul fiume, stabilendo la cosiddetta etiquette of the river.
Per i suoi seguaci, gli elementi comuni di una giornata di pesca – il piacere dell’inizio pesca al capanno e l’attesa della schiusa – erano tutte parte del maestoso rituale dei chalk-stream, una etichetta accettata come qualcosa di familiare e rassicurante.
Questo stato di cose ha continuato ad esistere per decenni anche dopo la morte di Halford (5 marzo 1914) fino ai giorni nostri.
Per alcuni anni dopo la II Guerra Mondiale i soci del Wilton Club godettero di uno standard di catture decisamente elevato di trote selvatiche che arrivavano anche a 5 o 6 libbre.
Vi sono testimonianze che confermano che negli 1950 era raro vedere pescatori “in azione” lungo il fiume. Essi preferivano aspettare, a volte per ore, fino a quando arrivava il momento perfetto e la trota timorosa e guardinga diventava una preda possibile.
L’inizio della “rivolta”
Molto interessante è anche l’analisi del momento in cui ebbe luogo al “rivolta” contro la ninfa. L’apparizione del primo libro di Skues nel 1910 non provocò subito la tempesta che egli stesso si sarebbe aspettato. Ci fu un certo malcontento, certo, che però non venne espresso apertamente e per alcuni anni ci si limitò a dei mormorii repressi, quasi sotterranei.
Solo negli anni ’30 i puristi decisero che dopo tutto avevano anch’essi qualcosa da dire. Ormai, l’uso della ninfa era diventato alquanto popolare e molti pescatori la impiegavano in una forma rozza e degradata, con esche che nulla avevano a che fare con mosche od imitazioni di ninfe e, spesso, pescando a scendere.
Il Dr. H.B. McCaskie riferì di aver visto un pescatore raggiungere il quantitativo massimo consentito in sole due ore in un fiume del Devonshire utilizzando una grossa mosca sommersa a scendere di nascosto ed assicurandosi di non essere visto. …omissis …
In alcune zone del Derbyshire la ninfa era vietata ed in altre era vista con disapprovazione, …omissis …
Ripopolamenti
In questo periodo, il sistematico ripopolamento dei chalk stream era diventato prassi comune ed i pesci alimentati a carne di cavallo (pratica ricorrente negli allevamenti in quel periodo – ndr), soprattutto se immessi nel fiume da poco tempo, si lasciavano catturare con facilità.
Nel 1935 Hills notò che i pesci di Houghton (località sul Test – ndr), che prima si ritenevano prendibili solo con piccole mosche secche, erano molto più facili da catturare con mosche di dimensioni ben maggiori.
La pratica dell’immissione, in effetti, portava il pesce ad avere un comportamento più rozzo e grossolano volgarizzando anche le tecniche di pesca. Questo rappresentava un problema per i proprietari ed i gestori dei corsi d’acqua poiché influiva negativamente sui costi di ripopolamento.
I pesci si prendevano meglio con grosse mosche sommerse e la permanenza giornaliera sul corso d’acqua era aumentata considerevolmente. Limitando la pesca alla sola mosca secca le catture diminuirono e questo portò ad una riduzione dei costi di gestione (strumentalizzazione della mosca secca per motivi economici e non “morali” – ndr).
I problemi però non tardarono ad aumentare. Coloro i quali erano colpevoli di “pescare l’acqua” erano sospettati di pungere e spaventare il pesce e di fare catture sottomisura mentre i negozianti di articoli da pesca spingevano la vendita di tutta una serie di invenzioni di esche bizzarre spacciate per “ninfe” e poi descritte da Skues come “mostruosità e assurdità” che non avevano nulla a che vedere con i chalk-stream …omissis…
Un altro punto di vista
Il punto di vista dei puristi può essere analizzato anche da un’altra angolazione partendo da una considerazione un po’ più sottile.
Il periodo fra le due guerre è stato caratterizzato da un rapido e violento cambiamento sociale. Per molti è stato visto come un’era pazza e minacciosa e c’era anche chi sentiva la necessità di conservare le vecchie abitudini e le antiche certezze famigliari. Forse la tendenza a preservare gli standard più tradizionali dei chalk stream fu dovuta a questi sentimenti.
Il costante aumento di queste preoccupazioni ed ansietà, alcune genuine altre del tutto ingiustificate e fuori luogo, arrivò al culmine nel 1936, Nell’inverno di quell’anno apparve sul Journal una “Lettera Aperta” di tale A.F. Loater – uno pseudonimo – figlio di un pastore e “rigido purista del culto” dove domandava “se vi fosse la possibilità porre delle limitazioni alla pratica della mosca sommersa o se il paese fosse ormai troppo corrotto e non ci fosse più nulla da fare”.
Riferì anche del suo tentativo di pesca a ninfa: non descrisse l’esca usata e si limitò a dire che era appesantita con del filo di piombo e che, lanciata a casaccio in una buca a valle di una chiusa aveva catturato al primo tentativo una trota di 3 libbre. Non era certamente la tecnica di pesca a ninfa come concepita da Skues.
Accuse rintuzzate
Il Dr Barton, in quel periodo uno dei responsabili del The Journal, rispose a questo stupido articolo con un pezzo intitolato “L’Etica della pesca a ninfa”, accusando l’autore di non aver centrato il bersaglio se pensava che l’esca e la tecnica da lui descritte potessero essere paragonati alla pesca a ninfa. …omissis…
Per quanto A.F. Loater possa essere ritenuto disinformato e supponente, le sue parole furono sufficienti per dare il via ad una “guerra epistolare” che diverrà sempre più vasta fino ad arrivare alla diatriba del Febbraio 1938. …omissis…
Nell’edizione estiva del Journal apparvero tre articoli ed una lettera di Skues (che utilizzò un nuovo pseudonimo – A.Y. Z. ), una banale lettera di un umorista che dichiarò di chiamarsi P.Rawn ed un articolo di Mottram dove discuteva la logica che avrebbe potuto regolare il comportamento etico della pesca nei chalk stream. …omissis…
Un volta dato fuoco alle polveri al Journal iniziarono arrivare lettere ed articoli infarciti della inquietante parola: “etica” …omissis…
Cambiamento di direzione
Con l’arrivo sulla scena da parte del Dr Mottram la controversia subì un cambio di direzione. Prendendo in prestito il titolo del Dr Barton, nel 1937 intervenne sul Journal con un articolo, “L’etica della pesca con la ninfa”, contenente un tentativo di identificare uno standard etico secondo il quale l’impiego della ninfa avrebbe potuto essere condannato. …omissis…
Una trota catturata con queste tecniche ed esche, sostenne, aveva un minor valore se catturata con una tecnica inferiore, Avrebbe dovuto essere catturata con una mosca secca e quindi con maggior sportività e divertimento.
Questa argomentazione, piuttosto grottesca – reminescenza del famoso tentativo del filosofo Jeremy Bentham di misurare la felicità umana per mezzo del suo felicific calculus – implicava che la pesca a mosca secca fosse necessariamente sempre più divertente. Era quindi implicito supporre che tutti i pescatori a mosca sperimentassero il divertimento allo stesso modo. Ma il divertimento, come spesso sottolineato da Skues, è una questione del tutto personale.
Considerazioni semplicistiche
A supporto dell’idea che la pesca a ninfa fosse una tecnica rozza, Mottram sosteneva che era più facile semplicemente perché il dragaggio non influiva sui risultati ed aggiunse “se dovessi far prendere una trota ad un principiante su un chalk stream toglierei la mosca secca, inumidirei il finale e gli monterei una ninfa (dimenticò tuttavia di menzionare se le trote fossero state alimentate con carne di cavallo oppure no). Ma non si limitò a questo. Aggiunse che, pescando a ninfa, le trote venivano punte oppure catturate e rilasciate spesso, cosa che le spingeva ad evitare di alimentarsi in superficie.
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L’argomento è molto complesso e corposo. L’analisi di altro materiale è in fase di selezione e faremo seguito con una successiva puntata.
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